Quadrilocale.
Villetta
bifamiliare.
Due stanze da
letto, bagno, ampia cucina.
Giardino.
Ci siamo
trasferiti da quattro giorni, i quattro giorni più lunghi della mia
vita.
Una giornata può
durare tantissimo, misurarti il battito del cuore, può arrivare ad
analizzarti il respiro, affannoso, di quelle ore che sembrano non passare
mai.
La zona è molto
carina, residenziale ma a pochi passi dal centro. Ci sono due
supermercati vicinissimi e un piccolo negozio di alimentari proprio
all'angolo della strada. Poco più in là c'è la farmacia e ho letto
recentemente sul giornale che il parco del quartiere è uno dei
migliori della regione.
Mentre lo scrivo
sento qualcosa in gola, qualcosa simile a un nodo, di quelli che
faceva Guido quando aspettavamo che il sole
tramontasse.
Chissà dove è
ora, cosa fa e se anche lui alcune notti si domanda se ha fatto la
scelta giusta.
Un'utilitaria è
parcheggiata nel garage: quattro porte con il blocco alle portiere
per quando arriveranno i bambini.
Provo a guardare
fuori dalla finestra, cerco l'angolazione giusta per vedere brillare
una vita che non mi appartiene.
Sono undici mesi
che non scrivo.
Sto lavorando
tantissimo e tra il trasloco, gli impegni della casa nuova e le ore di
formazione fuori sede, non ho realmente il tempo materiale per farlo.
Stronzate.
Sono undici mesi
che non scrivo.
Non ho niente da
dire. Il foglio bianco non fa altro che palesare la mia assenza di
idee.
Certe mattine mi
sveglio con una forte sensazione di vomito: è la gravidanza? è perché se giro a sinistra non incrocio più la sterrata per il mare?
Non so spiegarti
com'è, quando hai in testa una storia, un personaggio, una parola e
tutto il resto non sa di niente.
Undici mesi che non scrivo.
Forse dovrei solo
smettere di cercare di trovare una spiegazione, godermi la sensazione del tutto
che prende forma.
-Sai, da un
anno a questa parte abbiamo smesso di viaggiare e abbiamo cominciato
ad andare in vacanza.
Ci sono delle sere
in cui mi ritrovo a fissare il vuoto; con le nuvole disegno recinti
che al calare della sera si aprono, giusto il tempo di scappare via.
Esco in giardino e
cerco le lucciole, come quando passavo le estati in montagna dai
nonni, anche se ora è difficile vederne qualcuna, soprattutto in
città.
Ho smesso di avere
paura della mia inquietudine ma fatico a canalizzarla dentro un
tunnel monocorsia.
Vorrei svegliarmi
da questo torpore e invece sguazzo dentro un automatizzato
consumismo, una corsa all'oro che mi fa scegliere di comprare invece
che fermarmi a chiedermi di cosa ho bisogno.
Mi manca l'aria.
Ho paura di
svegliarmi in questa vita dimenticandomi come sarebbe potuto essere.
Ho paura di
fregarmene del mondo, parlandone a un bar davanti agli amici di
sempre lamentando tempo, crolli energetici e motivazionali: lo
stress lavorativo mi uccide, i prezzi degli immobili sono ancora
alti, la classe politica è uno schifo.
Guardo con invidia
mio marito e la sua felicità nel vedere la casa nuova che piano
piano prende forma. Sento la sua mano sulla mia pancia che cresce e
mi domando il perché della mia incostante serenità.
Piango, asciugo le
lacrime e cammino frenetica per la stanza disegnando cerchi e
aspettando risposte che inquadrino la mia esistenza.
Cerco di credere
che un giorno mi alzerò scoprendomi appagata.
Sono settimane che
si boccheggia, l'umidità mi penetra nelle ossa e non fa altro che
ricordarmi quanto tutto questo sia reale.
Sto perdendo la
salivazione, sto per abituarmi all'abitudine.
Eppure il mio
corpo sembra ripetermi di non lasciar perdere, alzo la musica ma è
come se ci fosse solo silenzio.
Mi è venuta
voglia di gelato.
Per fortuna ho tutto a portata di mano. Se giro
l'angolo, accanto alla farmacia, c'è una piccola gelateria
artigianale.
Mi viene da
vomitare.
Dicono che dopo il
terzo mese passi tutto.
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