Lei.
L’altra Lei.
Lei se ne
stava sul filo, percorrendo quella linea sottile di equilibrio instabile
che la caratterizzava da un’esistenza intera.
Passaggi di
poesia tra un trapezio e l’altro. Incapace di stare con i piedi per terra.
Non farmi
scendere, ti prego.
Non farmi
toccare il terreno.
Lui.
L’altro Lui.
Mangiava il
fuoco. Ingoiava le paure senza chiedersi dove andassero a finire.
Vita
lineare, obiettivi precostituiti, piedi ancorati all’asfalto.
Non
lasciarmi in un vortice sospeso.
Da anni abitavano
quel circo itinerante, da anni percorrevano pezzi di strada insieme senza
toccarsi, senza concedersi il dolore, spostando parole e emozioni, impedendo agli
occhi di scoprirsi intenti a guardare nella stessa direzione.
Tendoni,
serate al retrogusto alcolico. Mani che si incontrano, mani che si cercano,
mani che non sanno fare altro che scoppiare.
Parole.
Parole che non osano, parole che nascondono terrore, parole che non sanno fare altro
che scappare.
Lunghe
giornate di lavoro, Lei in bilico tra l’immagine terribile riflessa in quello
specchio e ciò che vorrebbe essere, con tutta sé stessa, con le unghie e con
i denti.
Lei e quella
attrazione folle a rovinare tutto. Ancora una volta.
Ti capita
mai di sentire i brividi dietro la schiena?
Lui,
impegnato a non sbandare, mani sul volante e percorso definito da sacrifici e scelte
ponderate. Lui così abituato a rischiare dentro la sua gola ma incapace di stare
nell’incertezza.
Lui, così
attento a non fare del male agli altri da non riuscire a sentire il fuoco bruciare nella
trachea.
Come si fa ad
ascoltare un pezzo in loop, a ridere lentamente mentre dentro qualcosa muore
forte?
Un circo itinerante.
Uno spettacolo che si ripete.
Non puoi
chiedere a una funambola di scendere e incontrarti a metà strada.
Non puoi
pretendere che un mangiafuoco rinunci a toccare l’asfalto.
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