Agata viveva in un parco
giochi da che ne aveva memoria.
Agata viveva sul punto più
alto della giostra panoramica, proprio lassù in cima, dove con le dita si
riesce a toccare il cielo e il mondo è uno scenario meraviglioso.
Non era mai scesa a terra, non
era mai stata in luoghi differenti, non si era mai fermata a guardare la vita
da un’altra prospettiva.
Agata non ricordava come fosse
salita la prima volta o chi ce la avesse portata, non sentiva il bisogno di
mangiare, di bere, di fare pipì. Lei se ne stava sul punto più alto della ruota
e non smetteva di osservare le giornate modificarsi, gli alberi tingersi di
colori diversi, le nuvole farsi minacciose, la pioggia precipitare leggera, il
vento scuoterla fino a farle credere di cadere.
Lei se ne stava seduta in
mezzo ai libri. Era così da sempre, era così da che ne aveva memoria.
Conosceva i segreti del mondo grazie
a quei libri, letti e riletti centinaia di volte, consumati dalle emozioni,
bagnati di lacrime e colorati dei sorrisi di chi non vede l’ora di sapere come
andrà a finire.
I libri erano i suoi
confidenti più intimi, gli amici con i quali trascorreva le giornate più buie e
quelle colme di meraviglia. Come quando l’inverno lascia lentamente il posto
alla primavera, prolungando le ore di luce, posticipando i tramonti e regalando
le prime fioriture.
Agata attendeva il cambio
delle stagioni come se non ci fosse nulla di più magico, come se fosse la sola ragione del passare del tempo.
Ogni stagione portava con sé suoni
e immagini uniche, era impossibile per Agata sceglierne una. Amava l’inverno,
con il suo freddo pungente, i rami spogli e le luci di Natale; la neve che si
posava dolcemente sulle attrazioni. La sensazione che il tempo si fermasse all'interno di quel parco giochi imbiancato.
Aspettava con trepidazione la primavera,
con quel vento incredibile che muove tutto: parole, fiori, alberi, sensazioni.
Sorrideva a pieni polmoni
quando scoppiava l’estate, così esplosiva da non lasciare nemmeno il tempo di
sistemare i pensieri.
E poi c’era l’autunno, così
schifosamente malinconico da tenerla attaccata a terra, anche una come lei, che
a terra non ci scendeva mai.
In un attimo spazzava via afa
e battiti accelerati, finestrini abbassati e musica a volume altissimo. Si infiltrava
nelle albe più lunghe, nelle canzoni più tristi, nel calpestio aranciato delle
foglie appena cadute.
L’autunno era lui, i suoi
occhi scuri che la guardavano fissi, sfidandola in quel tentativo di non vivere, in quell'incessante
rincorsa a frenare le emozioni.
Lui la osservava leggere in
cima a quella giostra: era così bella da togliere il fiato, disegnata dalle sue
paure e sfumata a carboncino. Era bianca ma anche dei colori più accesi, era
opaca nel suo dolore e brillante quando si ricordava di sorridere. Lui si
sedeva sull'unica panchina rivolta verso la ruota panoramica e non smetteva di
trattenerla nel suo sguardo; riusciva a percepire l’imbarazzo che tingeva le
gote di lei fino a renderla quasi senza corazze.
- Scendi Agata, tu sei fatta per
vivere, per ridere a squarciagola, per fare l’amore fino a perdere i sensi.
Gli autunni passavano, anno
dopo anno, ma Agata restava immobile lassù in cima, con i pensieri che viaggiavano a
mille, con il cuore avvolto in un tessuto impermeabile.
È che se scendo poi mi vedi realmente, nei miei occhi banali, nel mio viso comune, nei miei sogni uguali a
quelli di tanti altri, nella mia incapacità di amare davvero.
Agata viveva in un parco
giochi da che ne aveva memoria.
Agata, che un giorno di
autunno pensò di scendere da quella giostra ma quel giorno durò una vita
intera.
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