Jacqueline
Uvetta tende a lasciare post sul frigo, perdere chiavi, giacche,
portafogli; leggere libri, dimenticare torti e legarsi al dito
ricordi di emozioni.
Quel
giorno uscì di casa senza fretta, senza chiavi e senza portafogli ma con tanta voglia di incontrarlo, nel freddo di un inverno privo
di passioni troppo accese.
Caschetto
nero e un cappotto color zucca: Jacqueline Uvetta dipingeva quelle
giornate tutte uguali dando loro il calore di una torta appena
sfornata.
Ogni
mattina usciva con passo spedito, cercando la sua metà della
renetta tra quei giacconi tutti uguali. Lei sapeva che l’avrebbe
riconosciuto tra tanti e che, anche lui, non avrebbe avuto dubbi: il
dolore le doveva un bel regalo per farsi perdonare tutto
quell’accanimento degli anni passati. Impossibile lasciarselo alle
spalle.
E
dire che era una possibilista, solitamente.
Jacqueline
Uvetta camminava per ore tra gli alberi spogliati dei colori
dell’autunno; assaporava visi tristi e sorrisi che illuminavano
giornate dalla pallida consistenza. Poi, stanca e un po’ delusa, si
rifugiava in quel bar profumato di cannella e ordinava un caffè
lungo nero e bollente.
Senza
zucchero, senza latte, senza grappa.
Senza
fronzoli la sua vita in quella città priva di poesia.
– Ciao
J.-
– Ancora
tu! Riuscirai mai a lasciarmi in pace?
Il
problema era che Mr. Pain si era innamorato. Eh sì, si era preso una
cotta spaventosa per la piccola Jacqueline, tanto da scordarsi di
tutti i suoi impegni in agenda.
A
quella poveretta di sua sorella gemella Sofferenza, oramai, toccava
fare il doppio del lavoro: fin da piccoli era stato spiegato ad
entrambi come non si potesse lasciar troppo campo libero a Felicità. La loro era una missione, una sorta di co.co pro
indeterminato: senza ferie e malattie, senza la benché minima
possibilità di una fine.
Mr.
Pain non riusciva a non pensare ai suoi occhi.
Mr.
Pain non riusciva a non pensare al male che le aveva inferto negli
anni. Eppure, che colpa ne aveva lui?
Mr.
Pain non riusciva a non ricordare quegli occhi mentre vomitavano parole, suoni e giornate che vorrebbe che ora lei dimenticasse; addii
che lei stessa dovrebbe urlare a squarciagola a scapito di
troppi sussurri.
Lui
era consapevole di quanto la stesse caricando di ciò che lei con
fatica stava tentando di lasciarsi alle spalle, provando a colmare
quel vuoto, preservando quel presente, distillato a gocce per
salvarne gli aspetti più sereni.
E
invece lui era lì, in quel caffè, a ricordarle quel passato ai
margini di una strada, sboccato insieme a delle serate troppo
alcoliche dove i pensieri si mischiavano alle paure e le impedivano di
respirare.
Lui
non voleva che lei vomitasse ancora quei souvenir di passato, lui non
voleva portarsi via di nuovo quella bambina. Ma lui era il Dolore,
non un missionario abituato a fare del bene.
Eppure
lui era lì con quel mazzo di rose bianche a cercare di incrociare gli occhi
di lei.
–perché
non accetti mai le mie rose?-
-perché
sono senza petali e ogni volta mi faccio un male assurdo per colpa di
tutte quelle spine-
Jacqueline
Uvetta si alzò e andò via piena di rabbia e di spine, domandandosi
cosa diamine stesse succedendo in questo mondo assurdo. Da quando in
qua il Dolore si innamora? E poi, doveva succedere proprio con lei?
Jacqueline
Uvetta chiusa in quel cappotto color zucca ritornò verso casa. Girò
l’angolo veloce ma l’intensità di quello sguardo la faceva
sentire immobile.
-Sali,
ci beviamo un bicchiere di vino e poi te ne vai
–Grazie
J.
-Però
ecco, butta quelle dannate rose senza petali
–Ok
Fecero
l’amore quella notte, senza farsi troppe domande, senza ascoltare le risposte, senza zucchero,
senza fronzoli appunto.
Mr.
Pain la guardava, consapevole di quanto la amasse nonostante la stesse
distruggendo.
–Ehi
J. provo a ucciderti, vediamo che succede?
In
silenzio, senza troppo clamore; con lentezza, per far sì che tu possa
abituarti pian piano a questa lama che ti entra nella carne
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coltellate come gli anni che ti porti addosso, sotto quel cappotto color zucca.
In
un colpo solo, senza che nemmeno te ne renda conto
All’improvviso,
è un attimo: un forte boato, uno sparo al cuore.
- sei
ancora viva J.?
- Come
può essere?
Lui
l’aveva colpita al cuore e si muore quando si venie colpiti lì,
non ce n’è.
Lei
stava lì, nuda, lo fissava senza rancore, senza parole, senza zucchero, senza
fronzoli, appunto.
Una
lama nel petto e uno sparo al cuore.
–Come
cazzo puoi essere ancora in piedi?
Mi dispiace J. ma non esistono altri finali
possibili–
Au
revoir Jacqueline.
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