Quando
le chiedevano come stava, rispondeva a modo suo, scegliendo colori sgargianti o
sapori d'autunno.
Terribile
non essere capaci di apprezzare il cambio delle stagioni. Lei era in grado
di cullarsi in quell'attesa, di fermare i momenti per scriverci sopra parole di
china nera.
Dentro
quelle mura si sentiva una regina: la regina dei folli.
C'erano
volte in cui li radunava intorno a sé per raccontare loro una storia.
Placava
le urla, quietava le crisi e l'isteria, regalava ai suoi matti ore di respiro e
libertà.
Normale
non lo era mai stata.
Normale
lui non le avrebbe mai concesso di esserlo.
Essere
speciale quando fuori tempesta. Essere speciale quando piovono soffioni.
Lui
l'aveva cresciuta cibandola con pan di segale e stranezze; sfornava biscotti per
il tè delle cinque mentre ascoltava vecchie musiche partigiane.
Si
abbracciavano di rado ma si volevano bene senza interruzione.
Discutevano
di politica e le bambole di lei sapevano di sigari cubani, guardavano vecchi
film in bianco e nero quando le castagne scoppiettavano in cucina.
Si
lasciavano biglietti sul tavolo della cucina, il caffè ancora caldo e just
like a woman.
Facevano
lunghe camminate fino al fiume e senza dirsi niente parlavano di ogni
cosa; gettavano
sassi nell'acqua e lui le raccontava di quando un ideale smuoveva masse,
motivava persone, dava loro la ragione per restare.
Spesso
capitava la trattenesse quando lei era già in ritardo per la scuola citandole
poesie di Montale e Neruda.
Lui,
per lei, era l'amore.
Lui
iniziò a perdere sogni e parole, a scorgere ansie e timori nel tempo, a
sentirsi soffocato dalla vita e dalle persone.
Un
giorno lei tornò a casa con stringhe di liquirizia e dilemmi kantiani da
sottoporgli.
Lui
non c'era più.
Ricordi
che si attaccano a pareti e cemento.
Ricordi
che si prendono respiri e rapiscono l'esistenza.
L'avevano
portato via. Dicevano che lei fosse troppo giovane per prendersene cura,
dicevano che serviva un'assistenza specifica che lei non sarebbe stata in grado di
fornirgli, dicevano che l'istituto era l'unica soluzione valida per lui.
Dicevano
che avrebbe potuto ascoltare della musica solo negli orari consentiti.
Non
è possibile ascoltare musica solo negli orari consentiti, non è possibile avere
orari consentiti, non è possibile stare senza musica mentre la paura ti suona
nella testa. Come facevano a non rendersene conto?
Era
così difficile da capire?
Lui,
per lei, era l'amore.
Lei
cercò di spiegar loro che l'amore non può ridursi a una visita a settimana; provò
a ripetere in ordine alfabetico i testi che lui avrebbe dovuto necessariamente
avere in stanza, i film che avrebbe dovuto vedere la domenica, la sua marca preferita del tabacco per la pipa. “Signorina
in istituto non si può fumare”.
Ribadire
divieti, sembrava non sapessero fare altro che quello.
Tutto
dava ad intendere che le cose si stessero mettendo male e fu proprio in quel
preciso momento che lei recitò Seneca, si strappò i vestiti e iniziò ad urlare.
Bisogna
ammettere che fu abbastanza convincente da far credere a quegli idioti che
l'istituto fosse il posto giusto per entrambi.
Lui,
per lei, era l'amore.
La
misero in istituto con lui. Ai loro occhi era lampante che in quella famiglia
ci fosse qualche cosa di sbagliato: una malattia ereditaria, una follia
contagiosa, qualche gene impazzito che li rendeva diversi dagli altri.
Normali
non lo erano di certo quei due.
Normali
non avrebbero mai voluto esserlo.
Poche
parole suonavano brutte quanto “normale”.
Ora
lei poteva vederlo tutti i giorni, fissarlo mentre raccoglieva foglie ed idee,
sentirlo ridere quando guardava vecchie commedie italiane alla tv del
refettorio. Adesso per lei non c'erano distrazioni che togliessero tempo
prezioso a lui.
Lui,
per lei, era l'amore.
Erano
sempre stati solo loro due, dopo che la madre se n'era andata lasciandoli soli, senza spiegazioni, senza biglietti, senza pentimento, senza addii.
Senza
una canzone.
Come
si può lasciare qualcuno senza una canzone?
Lui
le spiegava che non doveva esser arrabbiata e nemmeno portare rancore a quella
donna, che c'era ancora tanto amore per tutti e tre.
La notte lui impacchettava regali e scriveva lettere alla luce di una
candela, erano finte lettere di una madre alla sua adorata
figliola.
Lei
lo sapeva.
Lei
fingeva di essere sorpresa e felice quando riceveva posta da quella madre che
odorava di tabacco e cognac.
Lui,
per lei, era l'amore.
L'istituto
dei matti era immerso nella tranquillità delle campagne; in inverno si tingeva
di neve immacolata ma appena arrivava la primavera gli alberi coloravano quelle pagine
vuote, preparando il campo al sole dell'estate.
Sempre
più terribile non essere capaci di apprezzare il cambio delle stagioni.
Ognuna
porta con sé il profumo di un cambiamento, la sicurezza di una svolta, la
speranza di nuove emozioni.
The times they are a-changin'.
Lei aspettava l'autunno piena di trepidazione: gli ordini dei libri e le
castagne sul fuoco come quando tutto era senza paure. Come
quando i ricordi erano certezze che scoppiettavano nel camino, senza essere
ombre nere che fagocitavano colori.
I
rumori della città erano echi lontani e la piccola biblioteca accanto
all'istituto la accarezzava nel suo dondolio, proprio come facevano le favole di Esopo
quando ancora lui la chiamava per nome.
Alle
cuoche del refettorio aveva insegnato come fare un buon pane di segale e nei
periodi di festa, quando era più facile sfuggire ai controlli, in istituto si ascoltava musica tutto il giorno.
Loro
non riuscivano a capire dove nascondesse tutti quei cd.
Loro
erano normali.
Lui
aveva smesso di guardarla, fissava il vuoto pasteggiando con briciole di
dolore.
Non
riusciva ad ascoltare nient'altro che il silenzio.
Lei
lo guardava vivere bramoso di morire; lei lo guardava morire mentre cercavano
di convincerla che anche quella fosse vita.
Lei
era terrorizzata alla sola idea di vivere una vita senza amore.
Lui,
per lei, era l'amore.
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