All'incrocio gira a sinistra e segui il cartello tutte le direzioni


La nostra Twingo grigia non era mai stata così carica; con la coda dell'occhio ti potevo scorgere sul terrazzo, intenta a guardarmi mentre cercavo di stipare, a fatica, le ultime cose nel bagagliaio.
Sapevo esattamente a cosa stavi pensando, sorridevi, consapevole di quante cose saresti riuscita a farci stare tu lì dentro.
La nostra Twingo grigia non era mai stata così bella, piena di noi e delle aspettative verso il viaggio più importante della nostra vita.
Sui sedili posteriori c'era una borsa con i nostri libri preferiti, solo cinque a testa, ci eravamo dette che non potevamo esagerare con i carichi.
In dieci minuti i tuoi libri erano già dentro la borsa: come diavolo fai a essere sempre così risoluta? Sicuramente donne, sicuramente sudamericane. Il binomio che più odio in letteratura.
Fante, Calvino, Wallace, per scegliere i miei ci ho messo una settimana; ho pensato ai testi che mi avevano accompagnata nei periodi tosti della vita e tenuta sveglia notte dopo notte, a quali autori avrei voluto leggerti dopo aver montato la tenda.
Io e te, in tenda. Se ce lo avessero raccontato, non ci avremmo mai creduto.
Ho caricato sull' i-pod le canzoni che ami, anche se so quanto non sopporti la musica ad alto volume mentre sei in auto. Mi dirai che ti fa venire il mal di testa e, a quel punto, ci fermeremo all'autogrill a bere del caffè nero bollente.
Io non vedo l'ora di farti ascoltare tutte le canzoni che hanno segnato questi ultimi dieci anni, quelle che mi hanno fatta innamorare, quelle che mi ricordano le vacanze con te e papà, le lacrime, le risate, le domeniche di sorrisi e giradischi.
Ho lasciato le sigarette nella tasca davanti al sedile del passeggero, so che hai smesso tanti anni fa; non te l'ho mai detto ma mi piaceva guardarti mentre accendevi una sigaretta sul terrazzo, guardando il mare.
Partiamo con le Superga?
Tanto poi so che le toglierai e metterai i piedi sul cruscotto.
Non so come fai ad essere così bella anche quando le giornate sembrano infinite e la stanchezza sbiadisce i colori dell'anima.
Ho preso della frutta da mangiare durante il viaggio; non ho voglia di sentire i tuoi rimproveri sui chili che ho perso. Proprio tu, che pranzavi con un pezzo di pane caldo mentre eri in fila alla cassa del supermercato.
Mi piace usare i tuoi jeans, mi piace vedere che siamo simili nel nostro dichiararci tanto diverse.
Su un quaderno ho scritto a penna nera tutte le domande che ho intenzione di farti. Ci sono troppe cose che non conosco di te; sono ansiosa di iniziare a guidare per poterti sentire parlare. Me le sono segnate per la paura di dimenticarmene qualcuna. 
Non credo ricapiterà mai più un'occasione come questa.
Voglio sapere come ti sei sentita quando le guardie sono entrate in casa, cosa hai detto ai miei occhi di bambina quando il mondo sotto i tuoi piedi ha iniziato a vacillare.
Io ricordo poco, qualche immagine sbiadita, una grande festa quando tutto è finito.
Mi sono sempre chiesta il perché di alcune tue scelte: lasciare il lavoro della tua vita, decidere di guardare il mare da lontano, rimanere in una città chiusa come le sue mura.
Se penso a te da giovane mi vengono in mente cardigan da uomo e jeans a vita alta; come mai non hai mai voluto far vedere quanto eri bella?
Voglio conoscere i nomi dei fidanzati che hai avuto prima di papà. Voglio sentirti raccontare di quando per andare a vedere il concerto dei Primitives ti sei fatta 40 chilometri a piedi. Voglio sapere come ti sei sentita quando a 19 anni hai scoperto di aspettare un bambino.
Sono quasi sicura che me lo chiederai. Io non lo so se avrò mai dei bambini miei.
Storcerai il naso e mi chiederai perché e allora io troverò il coraggio di parlarti di quella che sono.
Tu hai odiato i dolori del parto, i mesi a vomitare e a sentirti fuori controllo, eppure hai amato noi, tanto da farci sentire disarmati di fronte a tanto amore.
Mi domanderai di questi dieci anni, del giorno della laurea, del matrimonio, degli anni passati ad inseguire il mare e di quelli dove dal terrazzo respiravo salsedine.
Mi chiederai della malattia di papà, senza lasciarmi rifugiare nel silenzio delle mie zone d'ombra.
Abbasserò lo sguardo implorandoti di lasciar perdere, finirò per raccontarti tutto, fino all'ultima sensazione.
Mi dirai di smettere di avere paura delle persone, del loro giudizio, delle loro opinioni. Sorrido pensando a quello che mi dirai.
Devi immaginartele in bagno, a fare la cacca.
Ti chiederò se ti è mai capitato di avere paura, se la malattia ti ha mai spaventata, tanto da lasciarti senza fiato.
A me sì. C'erano giorni in cui la tua malattia mi impediva di respirare. Ci sono giorni in cui continua ad impedirmelo. Capita mentre sto guidando, nello scendere dalle mura della nostra città, nel sorvolare i cieli dei continenti che non sono ancora riuscita a visitare.
Mi risponderai che la cosa che ti fa più paura è la morte.
Ci sono ancora un sacco di cose che vorrei fare.



Papà mi osserva mentre porto quell'auto così colma di cose fuori dal garage. Non mi ha chiesto il perché di questo viaggio, ma papà non ha mai fatto troppe domande, lasciava che le facessi tu.
Il suo sguardo muto è diretto verso il sedile del passeggero. Quel sedile dove avresti dovuto esserci tu se la malattia non ti avesse portata via dieci anni fa. Chissà cosa pensa, chissà se avrò mai il coraggio di chiederglielo.





1 commento:

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